“Canterò in eterno l’amore del Signore” (Sl 88). E’ il ritornello del salmo che bene esprime i sentimenti di lode e ringraziamento che desideriamo condividere con don Giuseppe in questa celebrazione. Un inno che ci consegna un messaggio di gioia, di fraternità, che può sgorgare solo da un cuore che riconosce i doni del Signore. Un inno di lode, un “magnificat” per quanto il Signore fa per noi, attraverso la vita del sacerdote che ogni giorno si spend
e e si dona con gioia. Lodiamo e magnifichiamo il Signore. Lo facciamo in questa festa di Marco evangelista.
Il vangelo proclamato richiama le apparizioni del Risorto ed il mandato missionario conferito ai Dodici e con loro a tutta la Chiesa: “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura” (Mc 16,15-18). Il Vangelo è il lieto messaggio della salvezza, che è Gesù stesso, la sua persona e la sua azione. “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù… con Gesù sempre nasce e rinasce la gioia”. Sin dall’inizio l’EG ci ricorda che la fonte della nostra gioia sta proprio nell’incontro personale col Signore. E’ quest’incontro all’origine di ogni nostra vocazione. Di fronte alla tristezza di un cuore malato di individualismo e di vuoti interiori, la gioia della fede di un sacerdote si alimenta anche dell’incontro con gli altri, in special modo i poveri, che risvegliano l’entusiasmo di fare il bene. Il nostro incontro col Signore non ci chiude in noi stessi, ma al contrari
o ci conduce oltre noi stessi, verso l’altro. E’ questa l’esperienza che è chiamato a vivere ogni sacerdote nella sua vita quotidiana. Un’esperienza tanto bella e tanto grande che non possiamo tenere per noi. Il Signore ci invita a rinnovare ogni giorno il coraggio di evangelizzare, che papa Paolo VI chiamava “la dolce e confortante gioia di evangelizzare”. L’EG ci ricorda che “è vitale che oggi la Chiesa esca ad annunciare il Vangelo a tutti, in tutti i luoghi, in tutte le occasioni, senza indugio, senza repulsioni e senza paura. La gioia del Vangelo è per tutto il popolo, non può escludere nessuno” (EG, 20).
L’evangelizzazione è il cuore della missione di ogni credente ed in particolare del sacerdote. Una missione affidata a tutti, e anche a te, don Giuseppe, che oggi, festeggiando il 25° anniversario della tua ordinazione, vuoi dare particolare risalto a questa missione. Condividere la gioia dell’evangelizzazione, spendersi per essa dà forza e consolazione. E’ Gesù che invia ciascuno di noi: manda me, perché si fida di me, manda te, perché si fida di te. Desidero ricordare che in questa missione non siamo soli. Gesù non ci manda da soli né ci lascia soli: «Io sarò con voi fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Il Signore opera in me, in te, attraverso le mie parole e le tue parole, il mio ed il tuo andare. Non tutti, certo, attraverserem
o gli oceani per andare ad evangelizzare, ma tutti abbiamo la gioia e il compito di manifestare la gioia del Vangelo a chi incontriamo. Il sentirci “mandati” ci responsabilizza. E’ un “essere mandati” che non riguarda solo alcuni momenti della nostra esistenza: siamo mandati tutti i giorni a tutte le ore. Nessuna occasione di evangelizzare può andare sciupata.
La vocazione del sacerdote è inserito nel dinamismo della missione evangelizzatrice della Chiesa, in quel “dinamismo di “uscita” che Dio vuole nei credenti”: “Oggi, in questo “andate” di Gesù, sono presenti gli scenari e le sfide sempre nuovi della missione evangelizzatrice della Chiesa, e tutti siamo chiamati a questa nuova “uscita” missionaria…, ad accettare questa chiamata: uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo” (EG 20). Trovo in questo passo dell’EG importanti indicazioni per noi. E’ detto con chiarezza che la nostra missione deve fare i conti con “scenari e sfide sempre nuovi”. Per questo non basta alcun adattamento e statica riproposizione del messaggio. L’annuncio del Vangelo va riproposto in termini nuovi nella concreta condizione di vita dell’uomo di oggi. E’ un annuncio che tocca (e deve toccare) la vita. Spesso però cade in terreni duri, in un mondo in cui gli uomini e le donne sono più interessati alla ricerca dell’utile e del vantaggio personale. Allora suscitare fame e sete di Vangelo è il primo passo da compiere. La domanda di senso della vita, del vivere sociale, del proprio futuro e dell’umanità intera, fa sentire il bisogno di Dio. Papa Francesco ci ricorda che e
vangelizzare presuppone il coraggio di uscire da se stessi e di andare verso le periferie, non solo quelle geografiche, ma anche quelle esistenziali. Riconosciamo che le periferie esistenziali nei luoghi in cui “c’è sofferenza, c’è sangue versato, c’è cecità che desidera vedere, ci sono prigionieri di tanti cattivi padroni”, nei luoghi abitati “da tutti coloro che sono segnati da povertà fisica e intellettuale”, nei luoghi dove sta “chi sembra più lontano, più indifferente”, dove “Dio non c’è”. Sono queste “le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo” (EG 20).
La missione come annuncio di salvezza tocca la vita. E’ così importante che spinge ad “uscire dalla propria comodità”. Anche noi sacerdoti rischiamo di fare scelte di comodo, di fermarci ad una pastorale restia ad ogni novità, ingessata, per paura o per una prudenza di troppo. Rischiamo di adagiarsi in scelte anacronistiche, senza il coraggio di leggere i segni dei tempi e le “res novae”, che caratterizzano la nostra società. Di conseguenza il rischio di perdere la tensione missionaria è forte e terribilmente in agguato. Se non accettiamo la sfida di “uscire”, di andare incontro a chi è lontano, diventiamo semplici funzionari di una istituzione. Quando la Chiesa non esce per evangelizzare diviene autoreferenziale, si ammala. La Ch
iesa autoreferenziale pretende di tenere Gesù Cristo dentro di sé e non lo lascia uscire (EG, 49).
Carissimo don Giuseppe, ho colto in te – come in tantissimi altri confratelli sacerdoti – l’entusiasmo per una vita spirituale che aiuta a cogliere la bellezza delle “cose” di Dio, e soprattutto la freschezza del Vangelo. Era il desiderio di un “nuova evangelizzazione”, la voglia di osare vie nuove, di provare a interpretare una realtà sociale in continua evoluzione. Tutto con quella gioia che caratterizza la scelta missionaria: “La gioia del Vangelo che riempie la vita della comunità dei discepoli è una gioia missionaria… è un segno che il Vangelo è stato annunciato e sta dando frutto. Ma ha sempre la dinamica dell’esodo e del dono, dell’uscire da sé, del camminare e del seminare sempre di nuovo, sempre oltre” (n. 21). Questa “gioia missionaria” dev’essere sempre in noi: dobbiamo ricuperarla soprattutto nei momenti di stanchezza. Senza di essa il nostro ministero diviene sterile e inconcludente.
A riguardo s. Pietro nella prima lettura ci offre delle preziose indicazioni spirituali. Richiama anzitutto allo stile dell’umiltà: “Rivestitevi tutti di umiltà gli uni verso gli altri”. E’ un invito a noi presbiteri di fronte al rischio del facile giudizio, che porta ad essere severi con gli altri ed estremamente accondiscendenti con se stessi. Umile è il sacerdote che non giudica, non critica, non si vanta, non disprezza, non si esalta, non cerca la propria gloria o ruoli da prota
gonista, riconosce ed accetta i propri limiti. È modesto, non si ritiene il primo della classe né il più intelligente e preparato. Il comportamento dell’umile sacerdote è improntato alla consapevolezza dei propri limiti e al distacco da ogni forma di orgoglio e di sicurezza eccessiva. Tutte le altre virtù vengono meno, se non sono coronate da essa. “Dove è l’umiltà sono tutte le virtù”, diceva san Francesco di Paola. Rivestirsi di umiltà è dunque il presupposto per costruire relazioni belle e positive all’interno del presbiterio. Lasciamoci interpellare nel nostro cuore: abbiamo l’umiltà di ascoltarci gli uni gli altri, evitando i pregiudizi che ci possono essere in noi? Siamo pronti a cogliere quello che Dio vuole dirci, nonostante le chiusure che ci portiamo dentro? Ascoltiamo la voce degli altri, magari debole, o diamo attenzione solo alla nostra voce?
In ultimo, vorrei sottolineare che l’evangelizzazione è una vera questione di fede. Se non è viva e appassionata la nostra relazione col Signore, non c’è né la voglia né il coraggio di evangelizzare. Parimenti, se non siamo saldi nella fede, non resisteremo di fronte alle chiusure nei confronti del Vangelo e nulla potrà spingerci a portare il Vangelo negli areopaghi
di un mondo che pensa di fare a meno di Dio. Nè possiamo pensare di evangelizzare in modo credibile, se non viviamo la nostra fede con passione ed impegno pastorale! Lasciamoci perciò guidare dall’indicazione dell’apostolo Pietro, che vede la gara
nzia della missione nella grazia di Dio, che “ci ristabilirà, ci confermerà, ci rafforzerà, ci darà solide fondamenta” (1Pt 5,11).
Concludo, ricordando che celebrare l’anniversario di un’ordinazione sacerdotale è motivo di festa per tutta la chiesa, per tutti i fedeli, un’occasione bella per ringraziare il Signore per il dono del sacerdozio. Preghiamo per il carissimo don Giuseppe e per tutti i sacerdoti e le vocazioni religiose e sacerdotali.
Omelia di monsignor Francesco Oliva
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