Noi e il coronavirus
p. Vincenzo Sibilio
Viviamo un tempo particolare in cui è facile lasciarci prendere da paure varie e tutti ci sentiamo autorizzati a sentenziare e a ricercare le cause dei nostri mali. E qualche profeta di sventura si leva a ricordare che tutto ciò è la giusta punizione di un dio vendicativo o è l’avvertimento che, sempre questo dio, dà all’uomo perché si converta e la smetta con il peccato.
Mercoledì 26 febbraio, per il cristiano è iniziato, con la liturgia delle Ceneri, il tempo della Quaresima, tempo privilegiato per una seria revisione della propria vita, per essere pronti ad accogliere la straordinaria e gratuita misericordia del Dio Crocifisso.
Io so che il nostro Dio, quello rivelato nell’Antico e nel Nuovo Testamento, non è il Dio dei morti ma dei viventi e che non vuole la morte del peccatore ma che si converta e viva. È quel Dio che minaccia ferro e fuoco sugli israeliti e che subito dopo si commuove e si lascia convincere da Mosè a perdonare. È quel Dio che, per bocca di Isaia, dirà: “smettetela di fare il male, imparate a fare il bene; ricercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova” (Is 1,14-15). È quel Dio che sceglie, impotente, di morire per permettere a noi di vivere.
E come è possibile pensare che questo Dio mandi carestie, pestilenze, terremoti, virus vari? Invece di chiamare in causa Dio, perché non ci interroghiamo sulle nostre responsabilità? Che uso abbiamo fatto e facciamo del creato? Quali sono e di quale qualità, i rapporti tra noi umani? Cosa e chi può esservi dietro a tante “pestilenze” sparse nel mondo?
E come mai tanta paura e panico quando veniamo toccati nel nostro decadente benessere? Vogliamo addebitare a Dio la morte dei bambini a Taranto o nella terra dei fuochi? E come mai non veniamo presi dal panico dinanzi allo sfruttamento e alla morte dei bambini siriani o dei profughi ammassati nei lager libici? Perché non chiamiamo in causa Dio per queste tremende assurdità?
Dio soffre e piange e non si vendica e muore.
Forse l’immagine più bella e più vera di questi giorni è quella chiesa spalancata e quel crocifisso esposto a fare da “intercessore” a difesa di noi poveri uomini.
In questo momento così delicato, noi cristiani siamo chiamati non a chiuderci nelle nostre case ma a scendere in strada e a dire l’amore accanito e folle del nostro Dio.
Usiamo pure tutte le precauzioni, ma spalanchiamo le porte delle nostre chiese come segno visibile dei nostri cuori aperti.
La gloria di Dio è l’uomo vivente.
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