“La sua testimonianza di sacerdote è un dono per tutti” Celebrazione per il 70° anniversario di ordinazione sacerdotale di monsignor Laganà. L'omelia di S.E. il vescovo monsignor Francesco Oliva.

70° anniversario di ordinazione sacerdotale di mons. Laganà
(Gerace – 5 luglio 2023)

Non è mia intenzione in questo momento tessere elogi verso un uomo semplice, saggio e mite come mons. Laganà. Mia intenzione è piuttosto ringraziare il Signore per il suo sacerdozio e di tutti i sacerdoti presenti, anche di quanti non stanno vivendo un momento bello.

Il 70 anniversario d’ordinazione sacerdotale di mons. Laganà è motivo di festa per tutta la nostra chiesa diocesana. Il sacerdozio è un dono per tutta la chiesa. Festeggiando un sacerdote, festeggiamo tutti i sacerdoti. Dico Grazie a Dio per te, mons. Laganà, che rappresenti la storia del nostro presbiterio e come decano dei sacerdoti continui ad offrire il tuo apporto di consiglio e saggezza.

Ad alta voce desidero esprimere a tutti voi sacerdoti la gratitudine della nostra chiesa:

Vi ringrazio per il vostro ‘sì’, e per i tanti ‘sì’ nascosti di tutti i giorni, che solo il Signore conosce. Vi ringrazio per il vostro ‘sì’ a donare la vita uniti a Gesù: sta qui la sorgente pura della nostra gioia” (papa Francesco).

Quel ‘sì’ si esprime anzitutto nell’Eucaristia quotidiana, nella quale ritroviamo la nostra identità sacerdotale. Gesù, che si offre come vittima per la nostra vita, chiede a tutti di offrirci con Lui. Tante volte ripetiamo le parole di Gesù: “Questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi”. Sono parole che pronunciamo quotidianamente, riattualizzando il Mistero del Dio che si offre e rinnovando le promesse dell’Ordinazione sacerdotale. In esse è custodito anche il senso della nostra vita: Gesù che s’immola è il senso della nostra vita. Egli vuole essere a centro di tutto. Ci chiede di essere con Lui una perenne offerta di amore. Se questo non accade, se Gesù non è a centro di tutto viene meno la ragione del nostro essere sacerdote, viene meno l’essere stesso del sacerdote. Il sacerdote – come dice papa Francesco – è un uomo decentrato: al centro della sua vita non c’è il suo IO, ma Cristo.

Ma veniamo al vangelo. Per quanto questo brano di Mt 8, 28-34 appare poco in sintonia con la nostra celebrazione, esso ci parla di Gesù e del nostro essere con LUI. Ci consegna un annuncio di salvezza, comunicando un messaggio di speranza a tutti e a noi sacerdoti in particolare.

Una prima riflessione ci viene dal contesto in cui si svolge l’episodio evangelico. Gesù è in continuo movimento, da un luogo all’altro, attraversando il mare di Tiberiade. La sua missione si svolge in luoghi che sono “ai confini”: in casa del pagano Cornelio, nella Samaria, all’altra riva, nelle periferie geografiche, nella regione dei Gadareni al di là del mare.

Giunto Gesù all’altra riva, nel paese dei Gadareni, due indemoniati, uscendo dai sepolcri, gli andarono incontro”.

Il luogo in cui arriva Gesù è il confine “ultimo”, ma anche “primo” della sua missione, il luogo abitato da Satana, rappresentato da due indemoniati. Sono due e non uno: è il male che si coalizza, diventa legione, irruente, minaccioso, crea deserto, contagia, rende impossibile la vita nei d’intorni. Sono due indemoniati che vanno incontro a Gesù non per essere guariti, ma per allontanarlo! E’ strano ma è così: hanno riconosciuto Gesù come Figlio di Dio e la sua autorità. Ma sembrano non accettare la sua … tempistica, quando dicono: “Sei venuto qui … prima del tempo?.. Mandaci nella mandria dei porci. E tutta la mandria si precipitò giù dalla rupe nel mare e morirono nelle acque”.

Satana svela il suo volto di morte; vuole la morte della creazione, dell’ambiente, crea un deserto attorno. Tutto il paesaggio è lugubre, tra i sepolcri, un ambiente di morte, squallido. Gesù viene in questo luogo spaventoso da cui tutti fuggivano (“nessuno poteva passare per quella strada). Non c’è luogo ove Gesù non debba andare. Non c’è luogo, ove non ci sia bisogno di Lui. Laddove c’è il male, il peccato, la sofferenza, Lui va, si fa presente. Dove c’è più bisogno lui c’è. La sua presenza viene avvertita, anche quando è scomoda. Non c’è lugo dove il sacerdote non possa andare a portare semi di vangelo.

Il coraggio del vangelo ovunque sostiene il suo cammino. Neanche la presenza del male può arrestarlo.

L’evangelista Matteo annota che i mandriani fuggirono, entrarono nella città e raccontarono la cosa: si comportano come degli evangelizzatori! Ma la conclusione è deludente: “Tutta la città uscì incontro a Gesù, quando lo videro lo pregarono di allontanarsi dal loro territorio”. Ci sono ambienti, luoghi, persone che non ritengono Gesù interessante, che lo vedono come un concorrente e quindi da respingere. Questa storia si ripete nella vita e nella missione della chiesa di oggi. C’è gente, forse tra questa anche cristiani, che ritiene poterne fare a meno. Ma Gesù non può essere imprigionato. La sua missione lo porta ad andare ovunque, soprattutto incontro a chi è in preda al male, anche se in realtà l’incontro con Lui può essere respinto. Come accade nel caso dei due indemoniati, che vanno incontro a Gesù per impedirgli di passare/agire; anche gli abitanti della città gli vanno incontro per dirgli di andare oltre, di allontanarsi da loro. Può accadere anche nella vita del sacerdote: quando la sua azione pastorale non trova terreno fertile, non produce, è sterile, osteggiata, rifiutata. Ma questo non lo esime dall’andare, dal muoversi, dal seminare il bel seme del Vangelo. Non ci sono luoghi, ambiti di vita, ove non possa o non debba essere annunciato il Vangelo!

L’annuncio del vangelo non ha confini e limiti spazio-temporali. Spesso però la difficoltà di accoglierlo scombina i nostri piani, spiazza la nostra vita. Anche per noi, paradossalmente, possono esserci momenti in cui diciamo al Signore: sei venuto, ma non mi servi, ho altro cui pensare, e restando nella nostra indifferenza lo preghiamo di andare via!

Quello che mi sembra importante richiamare è l’urgenza del Regno di Dio. Di fronte al male è urgente la sua venuta. La bella notizia sta proprio in questo: Gesù libera dal male impersonato dal diavolo. Il Vangelo è l’annuncio di un Dio che viene a portare rovina ai demoni (Mc 1,24): egli è “il più forte” (Lc 11,22), distrugge il potere del male. E’ questo il Vangelo che ci rinfranca: Gesù è venuto liberare il mondo dalle potenze che lo schiavizzano, a guarire le ferite del peccato, i nostri disturbi interiori, le nostre ansie e depressioni. Il diavolo non può far più paura: la sua forza malefica è sottomessa alla signoria del Signore.

Gesù Viene ancora oggi. Ogni sacerdote è mandato a mostrare il volto del Dio che cura e guarisce, che continua ad essere medico. Ci ricorda S. Ambrogio:

«Se desideri risanare le tue ferite, egli è medico; se sei angustiato dall’arsura delle febbre, egli è fonte; se ti trovi oppresso dalla colpa, egli è giustizia; se hai bisogno di aiuto, egli è potenza; se hai paura della morte, egli è vita; se desideri il paradiso, egli è via; se rifuggi le tenebre, egli è luce; se sei in cerca di cibo, egli è nutrimento».

Rimettiamo a centro della nostra vita Gesù, nel suo essere medico delle anime. Lui guarisce dal male. Guai a pensare di non aver bisogno delle sue cure, trincerandoci dietro false sicurezze o nascondendo le nostre ferite. Il male che ci sta attorno e ci minaccia è opera del maligno, ci rende più cattivi, soggetti all’orgoglio, all’egoismo, alla sete di dominio, alla mondanità. Solo seguendo Cristo, e grazie al suo potere, possiamo essere interiormente guariti e ritornare a vivere relazioni vere.

L’azione guaritrice di Gesù si rinnova nella vita e nel ministero di ogni sacerdote. Grazie all’azione dello Spirito Santo, l’opera di Gesù si prolunga nella sua missione. Anche il sacerdote svolge un ministero di guarigione e di liberazione.

Mediante i Sacramenti è Cristo che comunica la sua vita a moltitudini di fratelli e sorelle, mentre risana e conforta innumerevoli malati attraverso le tante attività di assistenza sanitaria che le comunità cristiane promuovono con carità fraterna e mostrano così il vero volto di Dio, il suo amore. È vero: quanti cristiani – sacerdoti, religiosi e laici – hanno prestato e continuano a prestare in ogni parte del mondo le loro mani, i loro occhi e i loro cuori a Cristo, vero medico dei corpi e delle anime!” (papa Benedetto XVI).

Appare la bellezza e grandezza del ministero del sacerdote. Egli, per la missione ricevuta, più che operatore del tempio, sembra essere medico in un ospedale da campo. Con la sua missione terapeutica, si prende cura delle persone ferite, è il buono samaritano che ha a cuore la salute di quanti restano ai margini. Senza forze e senza speranza. Tante volte sé chiamato ad indossare il camice bianco del medico e dell’infermiere! Trascorre parte della sua giornata nel confessionale.  Per tanti sacerdoti, il confessionale è il principale luogo di cura. Qui raccoglie ogni malessere, incoerenza ed infedeltà. Qui dispensa l’eccesso della misericordia di Dio. Con l’occhio attento di chi legge nel profondo, di chi guarda con senso di realismo la realtà, di chi riconosce le ferite e dispensa il balsamo che profuma ed il farmaco che guarisce, correggendo ed incoraggiando. Con senso di realismo ed equilibrio. Senza cadere negli eccessi del rigorismo e del lassismo.

Il sacerdote è operatore di misericordia. Attraverso la misericordia si fa carico della persona, l’ascolta, si accosta con rispetto alla sua situazione. Non chiude mai definitivamente la porta, lascia sempre un margine di speranza. Dispensa misericordia a tutti, a chi gli è simpatico, ma anche a chi non familiarizza con lui. Nei suoi comportamenti c’è sempre spazio per il dialogo. Non è il suo IO ad emergere, ma la sua carità verso tutti.

E’ chiamato ad essere prodigo di misericordia, perché anche lui ha bisogno di misericordia, anche lui porta in sè le conseguenze delle ferite subite, sa di essere il primo ad aver bisogno del medico. Anche per lui vale il detto: medice, cura te ipsum! Prima sii medico di se stesso, togli la trave dal tuo occhio! Cura le tue ferite, se vuoi curare gli altri. Purificati dal cancro della mediocrità e del conformismo se vuoi brillare per novità di vita. C’è una medicina spirituale che non scade mai: è il mettersi davanti al Signore come davanti ad uno specchio per potersi leggere dentro e diagnosticare le patologie che è più facile accusare negli altri. È stare in preghiera davanti al Signore, è lasciarsi da Lui esorcizzare dal male di vivere che spegne ogni gioia. Nella complessità del ministero sacerdotale, quello della cura, della riconciliazione e del perdono riempie di più gioia e dà vera soddisfazione interiore.

In 70 anni di ministero sacerdotale mons. Laganà’ ha esercitato quest’opera di guarigione senza interruzioni. Il suo servizio al confessionale non s’è mai interrotto. E’ dono per tutti la sua testimonianza di sacerdote, che ha cambiato tanti ministeri, ma non è mai andato in pensione.

Come ogni sacerdote ha prestato a Cristo le sue mani, il suo tempo la sua intelligenza. Ha seguito Lui e nessun altro. Lo sottolineo a conclusione. Gesù è l’unico vero interesse, tutti gli altri sono destinati a scomparire. Il sacerdote che non sceglie il Signore, prima o poi smette di essere sacerdote o comunque vivrà una vita triste e senza entusiasmo

Chiedo a tutti di pregare per i sacerdoti, di rispettarne l’umanità con i suoi limiti, ferite e fragilità. Chiedo al Signore il fiorire di nuove e sante vocazioni. Amen.

♰ Francesco Oliva, Vescovo di Locri-Gerace

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