La morte di un Uomo sulla croce Uno studio di Francesco La Cava sui meccanismi della morte per crocifissione. La scienza concorda pienamente con il racconto evangelico.

Uno studio di Francesco La Cava sui meccanismi della morte per crocifissione. La scienza concorda pienamente con il racconto evangelico.

La morte di un Uomo sulla croce

Le parole dell’apostolo Giovanni come precisi dati clinici

 di Giuseppe Italiano

 


ph. Agensir

In questi giorni che ricordano la passione di Gesù, come non ricordare il medico-umanista Francesco La Cava [Careri (RC), 1877 – Roma, 1958]? Egli nel 1953 ha scritto un libro così intitolato: La Passione e la morte di N.S. Gesù Cristo illustrate dalla scienza medica (Napoli, M. D’Auria Editore Pontificio). Libro che, approfondendo gli studi sul meccanismo della morte per crocifissione, segna una svolta nella letteratura intorno agli ultimi istanti, sul Calvario, di Gesù: il quale soffre e muore sulla croce come una qualsiasi persona sana, dal fisico perfetto e senza alcuna malattia preesistente. Francesco La Cava smantella l’ipotesi, sostenuta da alcuni studiosi, della presenza in Cristo di una pleurite; nonché la tesi che la Sua morte sia stata provocata dalla rottura della parete del cuore. Egli dimostra che il liquido che fuoriesce dal Suo costato non proviene dalla pleura, ma dall’idrotorace che si era formato per l’atteggiamento inspiratorio del cruciarius; e che la separazione di tale liquido (sangue e successivamente acqua) sta scientificamente a dimostrare che il cuore di Cristo era integro.

La Cava, scopritore nel 1923 del volto di Michelangelo nel Giudizio Universale della Cappella Sistina (tra le pieghe della pelle di San Bartolomeo), ricava dal Vangelo i dati clinici che gli permettono di esaminare il caso; precisamente dalle parole di Giovanni, testimone oculare della morte del Maestro. E le usa – lui, uomo di fede – come reperto necroscopico. E sono quelle relative al colpo di lancia di Longino sul fianco destro di Gesù già morto. Colpo che provoca la fuoriuscita di sangue e di acqua, nettamente; prima sangue e poi acqua. Giovanni mantiene la sua consueta chiarezza: «continuo exivit sanguis et aqua» (Gv 19, 34), «subito ne uscì sangue e acqua».

Lo studio di La Cava è la dimostrazione scientifica della esattezza delle parole di Giovanni.

E prende l’avvio dall’orto di Getsemani, dove Gesù si ritira e dove rivela chiaramente la sua condizione umana: con il bisogno di solitudine nell’imminenza della morte, con la tristezza e l’angoscia che prova (cfr. Mt 26, 37).

Prima di intraprendere il percorso che, per le vie di Gerusalemme, porta al Calvario, Gesù subisce le umiliazioni più prostranti: viene deriso, legato, ingiuriato, flagellato, incoronato con spine. Ed era stato tradito da Giuda, abbandonato dai discepoli, tradito dal popolo che prima l’aveva accolto con le palme e poi lo manda a morte, preferendo salvare Barabba; e rinnegato da Pietro.

In tali condizioni psico-fisiche, Gesù percorre quasi per intero il chilometro della via crucis; arriva all’inizio del tratto finale (molto ripido) avendo già la cosiddetta dispnea da sforzo, cioè l’affanno. I giudei si accorgono e, per evitarGli la morte prima della crocifissione, Lo alleggeriscono della croce, che viene caricata sulle spalle del Cireneo.

Tre ore circa dura la sua agonia sulla croce. Un solo lamento: «Ho sete». Gli esegeti hanno interpretato queste parole nel significato di sete divina di redenzione delle anime. La Cava precisa che si tratta di sete umana; della sete di un uomo che non mangiava e non beveva da almeno 24 ore, che aveva perduto sangue per la flagellazione, per la corona di spine, per la crocifissione; che era nello stato febbrile per le ferite già infiammate.

La morte, quindi, sopraggiunge dopo breve agonia, considerato che vengono registrati casi di condannati che hanno resistito sulla croce fino a otto/nove giorni. Tanto che i soldati non Gli rompono le gambe, come invece fanno con i due ladroni, ancora in vita. La rottura delle gambe procurava subito la morte.

E, dopo il colpo di Longino, lo spruzzo di sangue e acqua. Alcuni studiosi giustificano il sangue con la rottura della parete del cuore stesso, dovuta alle sue violente contrazioni; e attribuiscono il flusso dell’acqua alla ferita del pericardio, la membrana che avvolge il cuore e che contiene una certa quantità di liquido.

La Cava osserva che la rottura spontanea del cuore è evento assai raro. E aggiunge che, se anche così fosse stato, non si sarebbe potuto verificare la fuoriuscita distinta di sangue e acqua, poiché, nel cavo pleurico, i due elementi si sarebbero mescolati. Precisa che il prolungato atteggiamento inspiratorio di Cristo, appeso alla croce, aveva portato la grande vena azygos, dalla parte destra, ad inturgidirsi di sangue; così come le altre vene endotoraciche; la cui pressione aveva provocato la trasudazione di siero e il formarsi dell’idrotorace. Il sangue, scuro, proviene quindi dalla vena colma; l’acqua, ben distinta, dall’idrotorace da stasi del cavo pleurico.

L’indagine anatomo-patologica e la fede concordano nella lucida spiegazione del medico La Cava, affascinato dalla scienza medica e dalla Passione di un Uomo necessariamente perfetto per poter profondamente soffrire.

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