Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani

Lunedì 18 gennaio
Dall’Eremo dell’Unità non può che venire, in questi giorni, una condivisione della preghiera per l’unità dei cristiani, secondo il brano evangelico proposto dalle chiese: Giovanni 15,5-9.
In questo primo giorno, vorrei soffermarmi sul v.5: “Io sono la vite…”
L’immagine della vite compare per la prima volta nella Bibbia in Genesi 9,20: “Ora Noè, coltivatore della terra, cominciò a piantare una vigna“.
Dopo lo sbarco dall’arca sulla terra asciutta, Noè si trova di fronte a una responsabilità che il Signore gli ha affidato: ricominciare a dar rivivere la terra, come in una speranza di giardino rinnovato. E ha pensato alla vite. Mi sono sempre chiesta perché proprio la vite. Essa è il segno di una speranza concreta di ripresa, perché non solo è coltivata per il frutto in sé, ma per il succo che ne deriva, il vino. E il vino viene presentato in tutta la Scrittura come segno di festa, di gioia, di pienezza di vita. Ma è anche un discernimento molto utile per capire cosa intendiamo davvero per pienezza di vita! Infatti Noè finisce per abusarne, come sappiamo…
La domanda si pone dunque sempre: qual è il senso della pienezza della vita?
Ecco il vangelo: “Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla“.
Ogni volta che Gesù dice “Io sono” dovremmo sentirci interpellati nel profondo dall’eco di quel Nome che Dio pronuncia dal Roveto ardente. Quell’ “Io sono” è la pienezza della vita che ci offre se stessa perché ne facciamo parte. In senso più letterale dall’ebraico potremmo tradurre “Io CI sono , come anche “Io CI sarò“. La pienezza della vita è una presenza. Essa è in mezzo a noi perché possiamo appartenerle, ieri, oggi e sempre.
La vite è qui l’icona dell’esserci di Dio. La linfa che accomuna i tralci fluendo dal ceppo scorre in una circolazione vitale che darà frutto – e i tralci siamo noi. Ogni tralcio nella sua forma particolare è alimentato dalla stessa linfa che scorre negli altri tralci. Rimanere nella vite vuol dire non porre ostacoli allo scorrere della linfa, non annodarsi su se stessi. È un reciproco rimanere che ci accomuna alla vite e fra noi.
Vi è un criterio di discernimento per comprendere se e fino a che punto rimaniamo nella vite: quello di essere in comunione gli uni con gli altri, riconoscendo di essere alimentati dalla stessa linfa. Questo è il frutto della vite che è Cristo: inviato ad essere piantato nella condizione umana per ricongiungere l’uomo a Dio, ci chiede di portare il frutto della comunione tra noi come segno della nostra appartenenza a Lui. Le divisioni non ci separano solo gli uni dagli altri, ma sono il segno di una separazione da Dio stesso.
Questo è il frutto che siamo chiamati a portare: come il Roveto che ardeva nel fuoco senza consumarsi, e ogni suo ramo vi era immerso senza distinzione…
E qual è il frutto di questo sterile arbusto del deserto? Quello di portare la presenza di Dio proprio in questo luogo, in modo che possa rivelarsi a tutti gli abitanti del nostro deserto…
Dall’Eremo dell’Unità – Gerace
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