Implorando la conversione Giornata diocesana di preghiera per la conversione dei mafiosi - L'omelia del Vescovo Oliva

XXVII Domenica del tempo ordinario / A

(S. Domenica di Placanica 7 ottobre 2017)

 

digLa parola che ci sta accompagnando quest’oggi è “conversione”. Un termine spesso ignorato e comunque riconosciuto solo in riferimento a coloro che hanno perseguito scelte sbagliate, rovinando la propria e l’altrui vita. Eppure la conversione è una realtà che interessa tutti. Tutti possiamo finire in vie non buone, nell’ingiustizia, nelle strettoie dell’egoismo e nella cattiveria. Tutti possiamo peccare. “Chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra”. Di conseguenza tutti abbiamo bisogno di ritornare a Dio. Non solo i mafiosi o quanti attentano alla vita della comunità.

La storia della vigna di cui parlano le letture di oggi è una chiara allusione alla storia d’Israele, ma anche alla nostra storia. E’ una storia che ci appartiene, vista all’interno del patto di amore che Dio ha voluto stabilire con l’umanità ed al quale anche noi siamo chiamati a partecipare. Nel padrone della vigna riconosciamo Dio, che ha piantato la vigna, l’ha circondata con una siepe, vi ha scavato una buca per il torchio e costruito una torre, affidandola poi a dei contadini perché la coltivassero. L’azione del contadino è mossa da un grande amore per la sua vigna. Il richiamo è a Dio che crea per amore, un Dio eternamente appassionato verso ciò che ha creato. E’ una storia, che, come ogni storia d’amore, ha alti e bassi, conosce momenti belli, ma è anche segnata da tradimenti e rifiuti. E’ la storia di un amore tradito! Ma Dio come reagisce ai rifiuti opposti al suo amore? S’interroga: “Cosa dovevo fare ancora alla mia vigna che io non abbia fatto?” C’è  tutta la sua delusione. Ma anche se deluso, non viene meno alle sue intenzioni iniziali, resta fedele alla sua opera, non si ritira né si vendica! Nonostante gli ostacolo frapposti al suo progetto. Lo sono la nostra arroganza e presunzione, le nostre perfidie e prepotenze. E non solo. La violenza, le guerre, le associazioni criminali, la mafia sono i tentativi dell’uomo di ostacolare il suo progetto e l’affermazione del suo regno in terra. Sono azioni dell’uomo che vanno contro il suo infinito amore. Ma agli operatori di iniquità e a quanti distruggono la natura provocando incendi e seguendo piani criminali è tolto il regno di Dio: “Vi sarà tolto il Regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare”.

La parabola di Gesù è terribilmente attuale. Le parole dei vignaioli risuonano, se non nelle parole almeno nei fatti, nella nostra società secolarizzata: “Uccidiamo l’erede e sarà nostra l’eredità!“. Anche Gesù, il Figlio inviato a rimediare agli effetti negativi dell’azione perversa dei vignaiuoli, è “cacciato fuori della vigna”, estromesso da una cultura che si proclama secolarizzata. L’uomo secolarizzato vuole essere lui l’erede, il padrone. J.P. Sartre, filosofo francese ateo, metteva in bocca ad un suo personaggio questa terribile affermazione: “Non c’è più nulla in cielo, né Bene, né Male, né persona alcuna che possa darmi degli ordini. […] Sono un uomo, e ogni uomo deve inventare il proprio cammino“.

Il messaggio della parabola dei vignaiuoli omicidi descrive la storia del «fallimento del sogno di Dio». Come un innamorato respinto, Dio è stato frustrato nelle sue aspettative da un popolo che non ha corrisposto per niente alla sua chiamata, anzi ha prodotto frutti velenosi:  grida di oppressi, spargimento di sangue, guerre, corruzione, fiancheggiamenti dell’illegalità, clientelismi, ricerca di denaro e potere. L’uomo ha sfigurato il suo bel giardino con incendi devastanti, l’abbandono nell’ambiente di rifiuti, anche tossici.

Ma con il suo grande amore, Dio dallo scarto tira fuori la salvezza: dal suo Figlio scartato, ci viene donata la salvezza. Il Messia rifiutato, condannato, crocifisso, morto, è risorto. La logica del fallimento viene capovolta. E Gesù nel vangelo lo ricorda ai capi del popolo: “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo”.

“La via della nostra redenzione è una strada di tanti fallimenti. Anche l’ultimo, quello della croce, è uno scandalo. Ma proprio lì l’amore vince. E quella storia che incomincia con un sogno d’amore e continua con una storia di fallimenti, finisce nella vittoria dell’amore: la croce di Gesù”. Ce lo ricorda papa Francesco. Consideriamo nel mistero della croce di Cristo la gravita del male che affligge la nostra società: la malavita organizzata e la criminalità in tutte le sue forme è il fallimento del progetto di Dio. E’ il punto più oscuro del Golgota, ove una croce innalzata porta su di sé morte, e, quel che è più grave, vi porta la morte di Dio. Sulla croce, segno del fallimento di Dio, si assommano tutti i nostri fallimenti. Gesù vi porta le nostri croci, le croci della nostra società che soffre terribilmente per i peccati sociali dell’umano egoismo, della corruzione, delle guerre, dei muri eretti per difendersi dal fratello che bussa alla porta dei confini degli Stati. La croce è anche segno di speranza e di redenzione, di vittoria sul male, su tutti i nostri mali, compresa la mafia. Sul calvario Dio attraverso il Figlio crocifisso e risorto realizza la salvezza della nostra umanità malata. È la vittoria di Dio sul male.

Nessun male è così distruttivo da vincere l’amore di Dio. Ecco la speranza che non tramonta dall’orizzonte della nostra umanità.

Francesco Oliva, Vescovo

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