Il saluto del Vicario Generale MESSA DEL CRISMA - BASILICA CONCATTEDRALE “SANTA MARIA ASSUNTA” GERACE

 

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Ecc.za Rev.ma, Mons. Oliva, nostro Vescovo in questa Diocesi di Locri-Gerace,

carissimi confratelli presbiteri e diaconi, presbiteri ospiti per questa settimana santa, religiosi e religiose, fratelli e sorelle eremiti, seminaristi, popolo tutto di Dio nelle sue varie espressioni ministeriali, un cordiale e affettuoso saluto nel nome del Signore che ha dato la sua vita per ciascuno di noi e, prima di morire, ha pregato per ciascuno di noi:

Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi”. Che questa preghiera diventi la nostra.

Questa sera ringraziamo tutti insieme il Signore in questa Solenne celebrazione della Messa Crismale dove il Signore Gesù rinnova la sua chiamata verso ciascuno di noi e noi, a nostra volta, rinnoviamo il nostro SI.

Prima di tutto, vorrei ricordare i Confratelli Presbiteri che non sono più con noi perché ci hanno preceduto nel Regno di Dio, tutti quelli che abbiamo conosciuto e in particolare quelli che ci hanno lasciato in questi ultimi tempi: p. Michele Ceravolo e don Vincenzo Sansalone, e tra i tanti laici una per tutti la nostra carissima Silvana Calautti volontaria presso la Caritas Diocesana. Per tutti la nostra preghiera di intercessione e un grazie per quello che hanno fatto e dato con la loro testimonianza di fede.

In questo Anno Pastorale, come sempre, sono state molte le iniziative pastorali, economiche-amministrative, beni culturali, giuridiche, che hanno caratterizzato la nostra Diocesi in modo ordinario e straordinario. I tanti progetti Diocesani di formazione per i giovani e gli adulti, accoglienza verso persone e famiglie extracomunitarie, di sostegno alle povertà.

Tutti gli uffici di Curia hanno saputo dimostrare la loro attenzione nelle varie iniziative che hanno svolto e tutti sono protesi, insieme con il Vescovo, a riordinare aspetti della vita ecclesiale e ad attuare iniziative a favore del bene comune, sia esso civile che ecclesiale. Non mi soffermo ad elencarle tutte, sono tante, forse per certi versi troppe, ma tutte con l’intento di dare gloria a Dio. Quello che va migliorato, è una maggiore coordinazione, che permetterebbe una più efficace collaborazione e servizio, e non di meno, a scegliere le iniziative essenziali.

Penso, che su alcune cose dobbiamo impegnarci tutti di più per migliorarle, e già questo, non è scontato. Per fare questo, è necessario, dirsi con chiarezza, quali sono i limiti che portiamo con noi e partendo da questi cercare le possibili soluzioni. Certo, è una mia lettura, parziale, ma potrebbe essere, in seguito, un punto di incontro per una riflessione più approfondita. Questi limiti non sono problemi, sono le nostre fragilità, fanno parte della nostra vita. E’ evidente che se le riconosciamo sono un punto di partenza, se non le riconosciamo diventano patologie personali e sociali.

Fra i limiti, in primis c’è il forte individualismo che ancora emerge nel nostro presbiterio e nel popolo di Dio. Siamo ancora troppo figli di questo tempo che pone, sempre di più, in risalto l’individuo a discapito della comunità. E’ la svolta antropologica di una modernità disincantata ma illusa di se stessa. Mentre tutti noi sappiamo che ciò che caratterizza il discepolo del Vangelo è l’essere dentro una comunità anzi, egli stesso è, nel suo essere profondo, comunità. Dobbiamo esercitarci di più sull’arte del sapersi incontrare e del saper dialogare. Educarci ad una crescita personale e comunitaria nonostante le avversioni, i contrasti, e i litigi.

Allenarci a non cadere nel vittimismo fuori luogo perché pensiamo che tutto il mondo ce l’ha con noi. Infine, smetterla con il sentirsi arrivati e di non aver bisogno di crescere, umanamente e spiritualmente.

Il Prof. Vittorino Andreoli sull’individualismo dice così:

L’Italia è un paziente malato di mente. Malato grave. Dal punto di vista psichiatrico, direi che è da ricovero. Però non ci sono più i manicomi. Ho individuato quattro sintomi. Il primo di questi è l’individualismo spietato.

Ci tengo a questo aggettivo, spietato. Perché un certo individualismo è normale, uno deve avere la sua identità a cui si attacca la stima. Ma quando diventa spietato è un problema. Faccio un esempio, immaginiamo dieci persone su una scialuppa, col mare agitato e il rischio di andare sotto. Ecco, invece di dire “cosa possiamo fare insieme noi dieci per salvarci?”, scatta l’io. Io faccio così, io posso nuotare, io me la cavo in questo modo… individualismo spietato, che al massimo si estende a un piccolissimo clan. Magari alla ragazza che sta insieme a te sulla scialuppa. All’amante più che alla moglie, forse a un amico. Quindi, quando parliamo di gruppo, in realtà parliamo di individualismo allargato”.

Direi che l’individualismo spietato di Andreoli va tenuto presente.

Il secondo limite che vorrei evidenziare è la spiccatissima ansia, che molte volte, quasi si tocca con mano e spesso si tramuta in panico più o meno evidente, ma non agli occhi di un esperto.

L’ ansia è l’emozione provata di fronte a una sensazione di minaccia reale o figurata che ha l’obiettivo di prepararci ad affrontare il pericolo percepito.

Dunque, l’ansia può essere utile al bene della persona ma diventa problema ogni volta che sentiamo il giudizio dell’altro su di noi, una minaccia spesso non vera, figurata. E purtroppo, spesso, questo giudizio lo sentiamo a tal punto che la nostra operatività dipende dal giudizio dell’altro. In questa nostra Diocesi l’ansia è troppa. Ma è pur vero che troppo, troppo spesso, giudichiamo tutto e tutti, e siamo pronti, aspettando con ansia, che l’altro sbagli. Ma anche questo non sfugge all’occhio esperto.

Tutto questo, non produce sane relazioni se non quelle da tenere sotto controllo. Ed ecco qui il tema di fondo: tenere sotto controllo, perché sono ansioso, non sono libero e in questo  modo si può arrivare ad eccessi di cattivo esempio che indicano questo stato d’animo, questo male profondo, come ad esempio: “io sono il Vicario Generale”; “ io sono il Parroco”; “io sono il direttore del coro”; “io sono il sacrista”; “io sono il catechista” ecc…  ecc… della serie “qui comando io”. Questo stato d’animo attraversa, come un filo rosso, tutta la nostra Diocesi e non ci permette di essere quelli che siamo realmente. Tutto questo è una maschera, magari involontaria, per coprire le nostre paure e il fatto che non siamo liberi.

Un terzo punto da dover considerare è la troppa distanza tra fede e vita. Nessuno qui vuole giudicare le singole coscienze e nessuno qui è così stupido da non sapere che ogni singolo componente di questo popolo di Dio faccia del suo meglio per far corrispondere fede e vita. Ma faccio riferimento all’aspetto comunitario, dove il rapporto fede e vita è tutto sbilanciato dentro l’alveo celebrativo. Fede e vita si incontrano nei nostri riti, nelle nostre celebrazioni. Ora, tutto questo non è che sia sbagliato, anzi, è certamente un punto di forza, una risorsa per questa Diocesi. Ma mi domando: “La Comunità cristiana, la Comunità parrocchiale, come mai non sente il bisogno di servire il popolo a lei affidato attraverso opere, segni visibili, che diano testimonianza? Quanto si parla nei nostri consigli Pastorali delle periferie che sono dentro le nostre Parrocchie? Quante volte ricorre la domanda: come possiamo fare per risolvere quella situazione di povertà?” Facciamo ancora una volta memoria delle parole di San Giacomo:

Parlate e agite come persone che devono essere giudicate secondo una legge di libertà, perché il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà usato misericordia; la misericordia invece ha sempre la meglio nel giudizio. Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, che giova? Così anche la fede: se non ha le opere, è morta in se stessa”-

A questo punto mi domando cosa si può fare, sapendo con chiarezza, che non abbiamo la bacchetta magica, non siamo i salvatori del mondo, non abbiamo le soluzioni in tasca e tuttavia siamo chiamati ad azzardare alcune indicazioni risolutive, anche queste oggetto di eventuali approfondimenti.

Prima fra tutti è il tema della FIDUCIA. E’ necessario che ciascuno di noi si fidi dell’altro per quello che è, per quello che sa fare, sapendo che si può sbagliare ma sapendo che se sbagliamo c’è una comunità che ci sosterrà. Purtroppo dobbiamo ammettere che questo non sempre avviene. Troppo spesso si è lasciati soli, si vive una solitudine che può essere insostenibile. Per verità delle cose, dobbiamo altresì ricordare, che se qualcuno tende una mano dall’altra parte ci deve essere un’altra mano tesa.

In questi giorni santi ricordiamo anche che quando Gesù aveva bisogno della vicinanza dei suoi discepoli essi non c’erano. Eppure Lui non ha ritirato la sua fiducia verso di loro.

Lo so, per dare fiducia ad una persona bisogna amarla. Ma spesso il nostro serbatoio d’amore è al rosso. Possono aiutarci queste parole di San Paolo?

Per la grazia che mi è stata concessa, io dico a ciascuno di voi: non valutatevi più di quanto è conveniente valutarsi, ma valutatevi in maniera da avere di voi una giusta valutazione, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato. Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione. Così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri … La carità non abbia finzioni: fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda”.

Se però, queste parole di San Paolo non ci fanno più effetto, c’è qualcosa che non va nella nostra vita di discepoli di Cristo. Ogni volta che non diamo fiducia è perché dentro di noi scatta quella sensazione irresistibile, quella tentazione diabolica che dice: “non mi fido di te perché io sono più bravo” oppure “non mi fido di te perché ho paura che sbagli”. Penso che se abbiamo voglia di risolvere i limiti, di cui si parla prima, c’è bisogno di guardarci negli occhi per sentire che chi mi sta di fronte mi dà fiducia e io do fiducia a lui, dopo di che troviamo una soluzione per camminare insieme. Ci manca l’esperienza di una relazione fiduciosa. I passi si stanno facendo, occorre essere costanti.

La seconda indicazione e uno sviluppo della prima e richiede un altro sforzo imponente: SENTIRSI COMUNITA’, io potrei dire, SENTIRSI FAMIGLIA e se in famiglia uno solo prende le decisioni per tutti, quella famiglia è già divisa in se stessa.

Allora Gesù, chiamatili a sé, disse loro: «Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”.

Ho scelto di diventare presbitero perché ho voglia di servire il popolo di Dio affinché giunga al Regno di Dio, arrivarci tutti insieme, e non “io davanti e gli altri dietro”. Se non è così non so a cosa serva la mia scelta.

Terza indicazione, penso che stiamo elaborando e facendo attività pastorali di 50 anni fa e questo in tutti i settori della pastorale. LA SOCIETÀ STA CAMBIANDO, ci può piacere o no, e sta cambiando velocemente, i dati che abbiamo già sotto mano ci dicono che si evolverà sempre di più nelle direzioni che già intravediamo e che saranno sotto il dominio della scienza e della tecnica. Questo tema ci interessa? Facciamo Parte di questo mondo o ci sentiamo un isola? Che Facciamo di fronte a questi cambiamenti? Perché non provate e fare una visita sul sito della Pontificia Accademia per la Vita? troverete le riflessioni su questi cambiamenti.

Tuttavia, non c’è dubbio, anche se dobbiamo fare i conti con questi cambiamenti che sono culturali e sociali e, scordavo di dire, incidono fortemente nel nostro tessuto ecclesiale, l’unica cosa che rimarrà in eterno è l’interesse verso l’uomo, ogni singolo uomo, da parte di Dio e della sua Chiesa. E in eterno, rimarrà anche l’interesse per quello che Dio ha da dire all’uomo di tutti i tempi e di ogni condizione sociale. Ecco perché, tra le tante iniziative e progetti diocesani che potrei citare, tutte di un certo rilievo, che in quest’anno pastorale abbiamo fatto, voglio ricordare la tre giorni di aggiornamento Biblico-Teologico. Perché lo faccio? Perché la sala è stata piena per tre giorni e questo significa che la voglia di Parola di Dio è ancora molta nel popolo di Dio,  e la scelta della Diocesi mi pare mirata. Le novità pastorali non devono mai perdere di vista che l’uomo, ogni uomo, nel profondo del suo spirito, cerca Dio. Si tratta di usare messaggi, metodi, risorse, al passo con i tempi.

Faccio di vero cuore gli auguri per una santa memoria della Risurrezione di Cristo a tutti voi in particolare a lei Ecc.za Rev.ma. tenendo presente lo sforzo che fa ogni giorno per il bene di questa Diocesi. Faccio gli auguri con queste parole che conosciamo, tratte da i fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij:

«Fratelli, non temete il peccato degli uomini, amate l’uomo anche nel suo peccato, perché questa immagine dell’amore di Dio è anche il culmine dell’amore sopra la terra. Amate tutta la creazione divina nel suo insieme e in ogni granello di sabbia. Amate ogni fogliuzza, ogni raggio di sole! Amate gli animali, amate le piante, amate ogni cosa! Se amerai tutte le cose, coglierai in esse il mistero di Dio. Coltolo una volta, comincerai a conoscerlo senza posa ogni giorno di più e più profondamente. E finirai per amare tutto il mondo di un amore ormai totale e universale… Amate particolarmente i bambini, essi sono senza peccato, come gli angeli, e vivono per la nostra tenerezza, per la purificazione dei nostri cuori, e sono per noi come un’indicazione. Guai a chi offende i pargoli!… Alcuni pensieri, specialmente alla vista del peccato umano, ti rendono perplesso, e ti domandi: ‘Devo ricorrere alla forza o all’umile amore?’. Decidi sempre: ricorrerò all’umile amore. Se prenderai una volta per tutte questa decisione, potrai soggiogare il mondo intero. L’amore umile è una forza formidabile, la più grande di tutte, come non ce n’è un’altra».

Buona pasqua, piena d’Amore umile.

don Pietro Romeo

Vicario Generale Diocesi di Locri-Gerace

 

 

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