Il pane sporco della corruzione Se n'è parlato a Locri in un convegno presso il Centro Pastorale - Silvana Pollichieni

 

 

La corruzione è stata definita dal cardinale Martini una delle tre pesti della modernità insieme con la violenza e la solitudine. Sono passati più di 30 anni da queste considerazioni e la “peste” si è diffusa in modo sproporzionato, ammorbando tutta la società, tanto da apparire oggi un malcostume diffuso, quasi imprescindibile per far funzionare la macchina burocratica. Un male con il quale convivere, che non “disturba” chi si sente non toccato. Ma forse è proprio questo il grande male: il degrado etico e culturale di una società che non sa più distinguere il bene dal male, il giusto dall’ingiusto, il corretto dal corrotto.

Ce lo ricorda sempre Papa Francesco, che non perde occasione per metterci di fronte alle nostre responsabilità, ai nostri peccati contro l’altro, contro il creato, contro la bellezza, contro il Bene Comune, in nome di un egocentrismo sempre più marcato che ci porta spesso a rinunciare alla nostra dignità di persone.
E di corruzione si è parlato recentemente in un interessante convegno, svoltosi a Locri presso il Centro Pastorale Diocesano, per presentare il libro “Pane sporco”,  del filosofo Vittorio V. Alberti, officiale per i temi politici del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale presso la Santa Sede e membro della Consulta scientifica del Cortile dei Gentili.
Il libro prende il titolo da un’espressione usata da papa Francesco riferendosi alla corruzione, ovunque essa si trovi, in tutte le istituzioni, anche la sua. “Il pane sporco è frutto di un guadagno illecito, di un lavoro non onesto”, dice l’autore, che porta alla corruzione di tutta la società, creando i presupposti per far nascere e crescere il malaffare, le mafie.
L’importanza della tematica del convegno è stata sottolineata dalla presenza di importanti figure istituzionali, operatori della giustizia e della Chiesa impegnata a concretizzare nella realtà storica il messaggio evangelico. Particolarmente significativa la presenza dell’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, del Dicastero per lo sviluppo umano integrale presso la Santa Sede, che ha evidenziato l’importanza di “combattere la corruzione, perché la corruzione rovina il rapporto tra cittadini e Stato e la fiducia tra i cittadini” motivo per cui, grazie agli stimoli del Pontefice, è stata istituita una Consulta che si propone di sensibilizzare l’opinione pubblica su questi temi.
Dal dibattito è emerso con chiarezza come anche per la corruzione l’antidoto è la formazione delle coscienze, l’educazione. Alberti nel libro sostiene che, accanto alle leggi, che non bastano da sole, “occorre un grande impegno educativo e culturale, perché le leggi sono efficaci quando si fondano sulle convinzioni etiche dei cittadini e con quelle si saldano, quando sono espressione del loro modo di essere e sentirsi parte di una comunità, quando veicolano il loro desiderio non solo di veder difeso il bene comune, ma di alimentarlo col proprio impegno”.
“Bisognerebbe ripartire dalla Costituzione e dai suoi valori -secondo don Marcello Cozzi di Libera- i ragazzi dovrebbero sapere a memoria i primi 12 articoli della Costituzione, quelli sui valori e sui diritti che la Costituzione riconosce e non concede semplicemente, perché questo farebbe capire che la corruzione si combatte con la cultura e con la cultura dei diritti», perché “la cultura è la più alta arma di libertà”.

Parole di speranza quelle conclusive di Mons. Oliva, che ha esortato a “scacciare definitivamente l’idea di una corruzione invincibile, facendo vincere il messaggio dell’onestà e della cultura come percorso per il rinnovamento della nostra società”.
Ma, sappiamo bene, che non è solo la corruzione il male che attanaglia l’attuale società.
Dunque ben vengano i richiami alle nostre coscienze, gli scossoni a cui papa Francesco ci ha ormai abituati e che, ci auguriamo, ci portino a rivedere le nostre “cattive abitudini”, allontanandoci dai nostri comodi ozi, per uscire dalla “mediocrità tranquilla e anestetizzante”.

Come spiega con chiarezza e semplicità anche nella recente Esortazione apostolica: “L’abitudine ci seduce e ci dice che non ha senso cercare di cambiare le cose, che non possiamo far nulla di fronte a questa situazione, che è sempre stato così e che tuttavia siamo andati avanti. Per l’abitudine noi non affrontiamo più il male e permettiamo che le cose vadano come vanno, o come alcuni hanno deciso che debbano andare” (Gaudete et exultate p.137).

Silvana Pollichieni

 

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