Giustizia: tra referendum, commemorazioni e piani stragisti L'editoriale di Enzo Romeo

 

 

Giustizia: tra referendum, commemorazioni e piani stragisti

Enzo Romeo

 

Con il trentennale della strage di Capaci (23 maggio 1992) è iniziato un periodo di riflessione sull’impegno di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che si prolungherà almeno fino al 19 luglio, anniversario dell’altra strage palermitana, quella di via D’Amelio. Si tratta di un’occasione per ripensare al valore della giustizia e della legalità. Opportunità tanto più preziosa per il nostro territorio, segnato dalla presenza invasiva della ’ndrangheta, che in questi decenni ha dimostrato di essere la più pericolosa organizzazione mafiosa, superando perfino Cosa Nostra.

Il 12 giugno, data in cui si tengono anche le elezioni amministrative in 7 Comuni della Diocesi (Antonimina, Bovalino, Caulonia, Caraffa del Bianco, Ciminà, Grotteria e Placanica; si sarebbe dovuto votare pure a Portigliola, ma il consiglio comunale, nei giorni scorsi,è stato sciolto per infiltrazioni mafiose), si vota per i cinque referendum sulla giustizia promossi da Lega e Radicali. Questi partiti avevano proposto un sesto referendum sulla responsabilità civile dei magistrati, che però – come quelli sull’eutanasia attiva e sulla cannabis – è stato giudicato inammissibile dalla Corte costituzionale.

Si tratta di quesiti in apparenza molto tecnici, ma che possono incidere profondamente sul nostro sistema giudiziario. Si va dall’abrogazione della norma sull’incandidabilità a cariche politiche di chi ha subito condanne per reati gravi, alla separazione delle carriere dei magistrati, impedendo il passaggio dal ruolo di giudice a quello di pubblico ministero e viceversa. C’è poi il referendum per abolire la reiterazione del reato tra i motivi che possono portare alla custodia cautelare in carcere prima del processo. Infine, si deve dire sì o no: all’abolizione dell’obbligo di raccogliere le firme per la propria candidatura al Consiglio superiore della magistratura; e alla possibilità per tutti gli appartenenti ai consigli distrettuali giudiziari, compresi avvocati e professori universitari di materie giuridiche, di votare per la valutazione dei magistrati.

Obiettivamente non è facile che il cittadino comune sappia districarsi bene fra questioni così complesse e delicate. E val la pena ricordare che i referendum saranno validi solo se si raggiungerà il quorum del cinquanta per cento più uno dei votanti. Un traguardo tutt’altro che scontato. Di sicuro i referendum non devono essere utilizzati come una clava contro chi è impegnato in prima fila nella lotta alla criminalità, che invece ha bisogno del sostegno della società civile. È il caso di Nicola Gratteri, minacciato insieme ai suoi familiari da un piano stragista. Lo ha rivelato ai primi di maggio Il Fatto Quotidiano, facendo riferimento a informative dell’intelligence di Paesi americani, in un oscuro intreccio tra cosche locali e gruppi del narcotraffico. La notizia è per noi ancor più allarmante perché, secondo l’articolo giornalistico, l’attentato avrebbe dovuto consumarsi nel tragitto stradale che Gratteri – legato profondamente alla sua terra – compie continuamente tra Gerace e Catanzaro. Peraltro, la notizia è rimbalzata subito dopo che Gratteri era uscito sconfitto (per 7 voti a 13) dalle elezioni nel Csm per la nomina del nuovo procuratore nazionale antimafia. Il gioco delle correnti ha portato alla scelta del procuratore di Napoli, Giovanni Melillo.

Il rischio è che nel campo della giustizia prevalga, sia nella magistratura che in politica, la logica del tutti contro tutti, alimentando i venti del populismo che già spirano forti in Italia. Il 23 maggio nel centro di Roma il Goel (il gruppo cooperativistico nato nella nostra Diocesi) insieme ad altre organizzazioni ha promosso un flash-mob di solidarietà a Gratteri e adesso si progetta un grande evento pubblico. In un comunicato il Goel ha scritto che «la ’ndrangheta si troverà di fronte una mobilitazione senza precedenti»; chiede che «la lotta contro tutte le mafie diventi un obiettivo prioritario del Governo» e che «tutti i magistrati in prima linea vengano difesi, valorizzati e non siano vittima di isolamento istituzionale».

Tutto ciò dimostra che in trent’anni è cresciuta la coscienza civile, ma che molto resta da fare. Consapevoli che la battaglia della legalità si vince innanzi tutto sul terreno dell’educazione. La scuola, l’associazionismo, la Chiesa stessa hanno un ruolo essenziale in questa sfida.

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