27.02.2019
Dove la povertà non esiste
Un viaggio, in questo caso un pellegrinaggio, comporta la scoperta di luoghi, monumenti, città, panorami.
Un viaggio, però, è anche incontro con altre culture, usi, costumi.
Un viaggio è, soprattutto, incontro tra persone.
In questi giorni mi sono immerso in una realtà dove “convivono” arabi, ebrei, cristiani. Una realtà fatta da palestinesi e israeliani.
Ho incontrato persone che con le loro “storie” mi hanno dato tanto.
In Palestina, nell’antica città templare di Akko (San Giovanni d’Acri), domenica abbiamo celebrato (in arabo) l’Eucaristia con la piccola comunità Cattolica superstite.
Una chiesa retta dai francescani (provenienti da ogni parte del mondo) e da un piccolo gruppo di suore (di cui una originaria dalla Basilicata). La bellissima chiesa, piccola rispetto “le glorie” del passato e dal forte “gusto” francescano, era riempita dai bambini. Molti i genitori (giovani) e le catechiste (giovani anch’esse) mi hanno regalato una “ventata d’aria fresca”. Una piccola chiesa, uno sparuto numero di cristiani rispetto alla popolazione, solo una sessantina di famiglie (prolifere, ringraziando il buon Dio) che continuano ad essere la speranza della Chiesa cristiana in questa realtà che ha dato, anche, la testimonianza di martiri.
Una chiesa antica (per la sua storia) ma giovane (per la composizione del presente).
Tra loro un’armonia semplice, bella, serena. Non c’era distinzione di “ruoli”. Una cosa mi ha colpito: non c’era il coro perché a cantare era l’intera comunità.
Si capisce, si intuisce subito che si va in chiesa veramente (e solamente) per celebrare l’Eucaristia.
Una comunità non esente da difficoltà. I frati e le suore continuano “a seminare” ma sono coscienti che crescendo, i ragazzi loro affidati, potranno essere “assorbiti” o dagli ebrei o dai musulmani.
La comunità cristiana, conscia del proprio ruolo, continua a seminare. Al buon Dio il far germogliare, crescere e fruttificare nel tempo opportuno.
Tutto questo in un clima tutt’altro che ricco.
Volutamente ho evitato il termine “povertà”.
Entrato in Giordania, a farci da guida ho trovato il simpaticissimo Alì.
Diretti verso Petra abbiamo sostato a Madaba. Da Petra siamo partiti alla volta del Mar Morto.
Abbiamo attraversato diversi villaggi. La povertà era evidente.
Macchine vecchissime.
Strade impolverate.
Negozi che vendono oggetti che a causa della “polvere desertica” appaiono già vecchi, usati.
Ma anche nella loro foggia sono vecchi rispetto ai nostri standard.
Case (eufemismo questo) con a fianco tende e/o baracche.
Bambini che camminano a piedi per andare e/o tornare da scuola.
La nostra guida, Alì, presentandoci l’attuale situazione sociale, politica e culturale, ha precisato: “ci sono i ricchi (pochissimi), poi ci sono quelli che hanno di meno (la maggioranza) ma non c’è la povertà, la miseria, poiché tutti hanno il necessario per vivere”.
Di fronte a ciò che i miei occhi hanno visto, appariva non veritiera l’affermazione di Alì.
L’ho compresa nel sito di Petra in una zona totalmente desertica, grazie alla popolazione beduina.
I beduini che ho visto nel sito archeologico di Petra sembrano “personaggi” usciti da un qualsiasi libro di fiabe.
Con i loro lunghi cappotti che sfiorano il terreno, i loro occhi neri, profondi, evidenziati da un contorno nero di “trucco”, con la loro pelle ambrata, scurita dal sole sono disponibilissimi.
Pronti a venderti milioni di monili in argento beduino, confezionato dalle loro donne, o ad accompagnarti in meravigliose visite al sito con i loro asini (sfiniti) e/o i loro cammelli, non disdegnano il farsi fotografare.
Vivono nel sito in tende o nelle stesse “grotte”.
Si confondono, si mimetizzano nell’ambiente circostante, in mezzo alla polvere (sabbia) che è la vera “padrona” di questi posti.
Mi ha colpito l’immagine di un bambino che avrà avuto quattro o cinque anni.
Indossava una tuta verde scuro (questo si capiva dai pochi spazi non coperti dalla polvere giallastra).
Era scalzo.
Come un cerbiatto, carico di un secchio più grande di lui, saltava in mezzo alle pietre del sito archeologico.
Deciso si è diretto verso la sabbia mentre la mamma, infagottata in abiti dalla chiara foggia arabeggiante, lo lasciava libero.
Si è tuffato nella sabbia e, felice, si è messo a giocare.
Con un secchio e la terra.
Aveva ragione Alì.
Qui la povertà non esiste.
Se si ha la gioia e il minimo necessario per vivere, si ha tutto.
Anzi, chi è felice di ciò che è, non desidera null’altro.
Chi non desidera nulla è veramente ricco.
Qui, il vero “povero” sono io.
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