Covid e maialate
Enzo Romeo
Nella seconda metà di gennaio i dati nazionali sulle vaccinazioni mostravano impietosamente la nostra Regione all’ultimo posto, con l’utilizzo di neppure la metà delle dosi ricevute. Viva il commissario! Ancora più triste e preoccupante è constatare il menefreghismo di parte della popolazione rispetto alla tragedia pandemica che si sta vivendo.
Vengo al punto. Mentre in Italia e ai quattro angoli del pianeta è acceso il dibattito tra i fautori della prevenzione e i negazionisti del covid, in Calabria e nella nostra Diocesi ci si accapiglia tra chi grida alla prudenza e chi sventola le frittole calde appena pescate dalla cardara. Perché – porco mondo! – a tutto da noi si può fare a meno, ma non a una bella maialata.
Durante le festività di fine anno, in una giornata di “zona rossa”, ho fatto un giro in bici (lo sport individuale era consentito) e sbucando da una curva, alla periferia di uno dei nostri paesi, ho visto dei volenterosi armeggiare intorno al calderone fumante. Tutta la famiglia, compresi i parenti lontani, si erano riuniti (senza mascherina, ovviamente) per celebrare il “lutto” del suino. Pazienza se ben diversi lutti si stavano consumando in casa d’altri, magari poche porte più in là.
Sembra quasi surreale, eppure sono molti i sindaci che hanno dovuto lanciare appelli per chiedere che si interrompa, almeno per quest’anno, l’arcaica consuetudine di riunirsi per uccidere il maiale. Un’usanza che ha favorito gli assembramenti e provocato focolai di infezione. Leggo che a Piscopio, nel Vibonese, un raduno per far la festa al maiale è costato finora la bellezza di quattrocento persone positive al coronavirus. Complimenti!
Diciamo “porco” per offendere qualcuno, ma – per favore – non usiamo il porco per diffondere una malattia che già troppe ferite ha provocato fra tutti noi. Nella mitologia antica il maiale era una bestia monda di cui si servivano gli dei per inviare messaggi agli uomini e dal maiale si traevano auspici per il futuro. Forse dovremmo riprendere la tradizione magnogreca. Cosa ci direbbe il maiale se potesse parlarci? Come ad Enea ci indicherebbe la terra su cui sbarcare? O ci mostrerebbe – vedi il XXX canto dell’Inferno – in che maniera ci si possa ridurre pensando solo ai nostri (porci) comodi?
Allora, ecco una proposta: se proprio non si può fare a meno di sacrificare l’animale debitamente ingrassato, che ci si limiti all’asporto. Il capofamiglia-macellaio eseguirà la condanna a morte del maiale, la sumpessera provvederà al taglio e all’insaccamento della carne e la parentela passerà a ritirare quanto spettante. Consideriamo la procedura una postilla all’ultimo Dpcm, che già tante ne contiene, Una in più o una in meno, non cambierà molto per noi. Lo so, mancherà in questo modo la convivialità, che è il condimento migliore per un tale evento. Ma che possiamo farci? A qualcosa si deve pur rinunciare se si vorrà riprendere, sperabilmente dal prossimo inverno, con le maialate in libertà.
Per ora asteniamoci dalla doppia maialata. Perché è davvero una porcata al cubo fregarsene della morte che ogni giorno, intorno a noi, si porta via centinaia di persone, stroncate da un virus che contribuiamo a diffondere al modico prezzo di qualche nodo di salsiccia o di un piatto di micciulle bollenti.
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