Come si pongono i giovani della Locride di fronte alla Fede? Frammenti di speranza - la rubrica curata dal vescovo

A questa domanda ho pensato di far rispondere alcuni docenti e dirigenti scolastici. E’ un dato di fatto che anche i giovani della Locride avvertono, come tutti i loro coetanei, le profonde trasformazioni epocali che caratterizzano l’attuale momento storico e sociale. Anch’essi risentono fortemente dei grandi cambiamenti culturali. La fede, nei giovani della Locride, fa parte del bagaglio ricevuto fin dalla prima infanzia. Essa è fortemente condizionata dai contesti ambientali e dalle condizioni sociali e culturali, dagli usi, dai costumi, dalle tradizioni, che nella maggior parte dei casi frenano notevolmente la sua stessa maturazione.

I giovani praticanti residenti nei centri interni hanno una vita di fede ancorata di più alla tradizione, e, per la maggior parte di loro la devozione verso la Madonna e i Santi è anteposta al culto per le tre Persone della Santissima Trinità. Per loro è di fondamentale importanza mantenere in vita le tradizioni religiose e rispettare le date tradizionali delle Feste patronali e considerano ogni intervento, finalizzato al cambiamento in materia, occasione per far perdere la Fede al popolo. Questi giovani, pur se praticanti, interpretano le direttive diocesane come una inammissibile volontà di distruggere le antiche tradizioni religiose o, addirittura, pensano che ci sia una precisa determinazione di far perdere la fede ad una intera comunità.

I giovani praticanti residenti nei centri costieri, nei quali si registrano influenze di altre religioni per la maggiore presenza di immigrati, sono meno legati alle tradizioni religiose, sebbene anche loro faticano ad accettare modifiche e cambiamenti. La maggior parte dei giovani che si professano credenti, dichiarano di accogliere solo in parte i contenuti della dottrina cristiana; pregano a modo loro ed hanno una concezione del tutto personale della preghiera.

La maggior parte dei giovani ha rapporti difficili con i sacerdoti e la Chiesa; e si pongono in atteggiamento critico, non sempre costruttivo. Indicano come ostacolo all’accettazione della Chiesa come comunità di credenti anche il linguaggio ecclesiale, percepito come affermativo e normativo e non ritenuto idoneo alla sensibilità del tempo, e in particolare i non praticanti – è questo è il punto di divergenza con i praticanti – manifestano una incapacità di integrare la dimensione istituzionale con la dimensione comunitaria della Chiesa. Parimenti i giovani detestano la spettacolarità di alcune celebrazioni, lo sfarzo degli addobbi floreali che sono ritenuti uno schiaffo alla povertà e una chiara mancanza di rispetto verso il Papa. Non condividono gli inviti ai battimani durante la celebrazione della Messa perché visti come una precisa richiesta di plauso dell’uditorio, che trasformano la Chiesa in un pubblico teatro.

Tutti i giovani richiedono l’essenzialità e la coerenza in primo luogo dei pastori e degli educatori e sono attratti da una fede che può trasformare la vita. Per molti di loro, purtroppo, la Chiesa e la parrocchia non sono considerate casa accogliente perché le relazioni sono fredde e la dimensione del culto prevale sui legami. Sono tanti a considerare la parrocchia centro per l’erogazione di un servizio come qualsiasi altro ufficio pubblico, non luogo d’incontro e di dialogo, di crescita umana e spirituale. La maggior parte non vedono nel parroco un pastore capacedi stare in mezzo alle pecore, ma un sacerdote pendolare presente solo per la celebrazione di riti, che, dopo aver assolto ai suoi doveri di ufficio, rientra nella sua sede di residenza che frequentemente non coincide con il paese sede della parrocchia, un sacerdote che fa sfoggio di cultura, parla per sé” e aspira a fare carriera, un burocrate.

I giovani sono particolarmente attratti dalla Chiesa del servizio, della vicinanza ai più deboli e ai poveri, che trasmette il messaggio evangelico attraverso il linguaggio del fare, che manifesta coerenza tra il dire e il fare. Giovani praticanti e non praticanti criticano le regole per le regole, l’esteriorità della Chiesa, identificano il cattolico come il praticante che non perde una Messa, si confessa e fa la Comunione, segue le indicazioni della Chiesa, ma è una figura non autentica da cui prendere le distanze, perché nella vita non opera da cristiano. I giovani richiedono con insistenza coerenza operativa e proposte educative fondate non sull’imposizione di un modello precostituito, ma sulla capacità di attivare percorsi rispettosi del bisogno di libertà del singolo. Tutti mettono in discussione l’obbligatorietà del catechismo giudicato con molta severità, ritenendolo una proposta formale noiosa per l’utilizzo di una metodologia rigida e ripetitiva che non favorisce l’esperienza di fede, ma indica solo regole da seguire, principi astratti da osservare. Affermano che la vera comunicazione della Chiesa è quella della testimonianza; esigono una Chiesa che viva in coerenza con il messaggio di Cristo. Ciò che più allontana i giovani dalla fede è l’ipocrisia che riscontrano in quelli che si dicono credenti. A questo comportamento oppongono un rifiuto, allontanandosi dalla Chiesa.

Sono solo alcuni spunti di riflessione che provengono da chi conosce il mondo giovanile, che anche in questa terra del Meridione d’Italia sembra prendere le distanze dalla Chiesa. Torna perciò utile il prossimo Sinodo dei giovani, quale momento di ascolto, di discernimento e di ulteriori approfondimenti.

Francesco Oliva, Vescovo di Locri-Gerace

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