(ph. di Albano Angilletta)
don Armando Matteo
Pastorale giovanile vocazionale. Una prima mappa
Provando a fare ora una breve sintesi di quanto esposto ieri, si tratta di prendere onestamente atto che il nostro lavoro pastorale non trova più una sponda generosa all’interno delle dinamiche familiari. Noi adulti siamo sempre di meno adulti e sempre di meno adulti credenti. Nelle famiglie si prega di meno, si legge di meno il Vangelo, si parla di meno dei grandi temi della vita, ci si comporta sempre di meno da adulti. Lo scarso o nullo interesse dei giovani verso la realtà ecclesiale e della fede è dovuto proprio alla mancata consegna di un reale interesse verso queste realtà da parte dei loro genitori e dei loro adulti di riferimento.
Non possiamo più svolgere la nostra azione con i giovani senza tenere conto di questo contesto culturale in cui gli adulti rinnegano la loro specifica vocazione alla generatività e alla responsabilità. E dunque alla testimonianza di fede in carne e ossa.
Per questo ritengo molto felice l’idea di dare vita a ciò che si chiama “pastorale giovanile vocazionale”. Di essa vi propongo ora una prima mappa quale contributo per una discussione ed un lavoro che sono tutti davanti a noi.
1) Spendi il massimo delle tue energie per convertire gli adulti al loro compito educativo.
Senza gli adulti non c’è generazione alla fede. Senza adulti non vengono al mondo altri adulti. La trasmissione della fede e la generatività intergenerazionale sono la loro vocazione specifica. Questo è il dinamismo fisiologico. Qui si deve prioritariamente realizzare il principio fondamentale della nuova pastorale giovanile vocazionale, secondo il quale è l’intera comunità che si fa carico e si prende cura dei giovani.
2) Insegna a tutti ad onorare la vocazione all’adultità propria di ogni essere umano.
Tutti siamo chiamati a diventare adulti. Quella dell’adultità – ovvero la risposta alla domanda “per chi sono io?” (P. Sequeri) – è la forma zero di ogni altra vocazione ed è la premessa di un vero e pieno compimento di sé.
3) Riscopri la centralità del terzo comandamento.
Che cosa intendiamo lasciare come eredità dell’intero percorso dell’iniziazione cristiana ai nostri ragazzi e ai nostri adolescenti? Questo è il nodo critico da affrontare oggi: la vita cristiana si nutre la domenica e di domenica. Si nutre dell’incontro eucaristico con il Signore Gesù, dell’incontro con la comunità, con i propri famigliari e amici ed infine con se stessi. Per questo è opportuno tener desto il carattere “festivo” dei giorni festivi.
4) Insegna a pregare. Sempre.
Senza preghiera non c’è fede.
5) Credi di più nella Bibbia.
La Bibbia sia come l’anima del catechismo. Il cristiano è in verità colui che guarda il mondo come Gesù: da qui la necessità di sviluppare una decisa familiarità con la Scrittura come obiettivo minino del credente futuro possibile. Questa è la risposta alla domanda-titolo di ieri “Cosa significa credere, quando non si è più bambini?”: significa essere adulti come Gesù.
6) Esci dagli schemi e pensa per singolarità.
Non sforzarti di incasellare i giovani negli schemi/negli itinerari del tuo catechismo, ma cerca di adattare questi ultimi al giovane che hai davanti. Bisogna imparare ad aiutare ciascuno a trovare il proprio sentiero verso il luogo del proprio incontro con il Dio del Vangelo
7) Unisci sempre sacramenti e carità.
L’esperienza del volontariato e della partecipazione alle opere di carità della parrocchia sia pertanto presentato e proposto come elemento di verifica del cristianesimo interiorizzato e dell’assunzione del carattere missionario proprio della fede.
8) Scommetti sulla creatività digitale delle nuove generazioni.
Se non da qui, da dove altro dovrebbe partire e svilupparsi quel protagonismo dei giovani, considerato oggi come secondo principio fondamentale della nuova pastorale giovanile? Lasciamoci istruire da essi ad abitare e ad evangelizzare questo universo digitale e accompagniamoli con la massima fiducia nella costruzione di una nuova e più bella Chiesa 2.0.
9) Impara dai monaci.
L’autentica spiritualità cristiana non è fatta solo di parole e di prediche, ma anche di spazi di interiorità. Permetti ai giovani di ritrovare se stessi, di gustare l’esperienza della solitudine non come spazio dello stare da soli ma quale tempo per stare con se stessi, con le proprie domande, con le proprie ferite e delusioni e infine con i propri desideri e sogni.
10) Crea la carta di identità del credente della tua parrocchia
Ogni volta che metti mano ad un progetto, chiediti verso dove miri, quale modello di adulto credente desideri proporre alle persone alle quali ti rivolgi. Devi perciò pensarne concretamente gli stili di vita e le prassi appropriate (quanta preghiera, cosa leggere, quali gesti di carità, quali attenzioni…).
Per continuare la riflessione
- Matteo, Tutti giovani, nessun giovane, Piemme 2018; La Chiesa che manca. Giovani, donne e laici nell’Evangelii gaudium, San Paolo 2018.
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