2021: colmare il deficit di speranza
Enzo Romeo
Ci sono due richieste divine che dovremmo sforzarci di rispettare in quanto figli di questa striscia di terra calabra. La prima: «crescete e moltiplicatevi» (Genesi 9,1). È ciò che Dio chiede a Noè e ai suoi dopo il diluvio universale. L’umanità, per colpa di se stessa, si era trovata ad affrontare un’immane catastrofe ed aveva rischiato di scomparire. Ma il Signore aveva avuto pietà delle proprie creature e aveva suggerito al patriarca Noè di costruire l’Arca.
La pandemia, che si è sovrapposta a una già pesante crisi socio-economica, ci ha riportato a quell’epoca primordiale. Il vaccino contro il covid potrebbe rappresentare la nostra arca, poi però non dovremo eludere il richiamo alla “fecondità”. Vuol dire invertire la rotta che sta portando allo spopolamento e alla desertificazione dei nostri paesi. Secondo gli ultimi dati Istat, tra le regioni italiane la Calabria è seconda solo al Molise in quanto a decremento della popolazione. E l’area che ricade nella nostra Diocesi è tra quelle percentualmente più interessate allo svuotamento. Si fanno pochi figli o li si manda via, in cerca di fortuna lontano da dove sono nati. Qui non c’è futuro, è la convinzione dei più. Ovvero, come direbbe Otello Profazio, «qui si campa d’aria».
Urge colmare il deficit di speranza che toglie respiro e chiude l’orizzonte. Si tratta di un’operazione culturale (e anche religiosa), prima ancora che economica. Una vera e propria missione a cui dedicare le migliori energie, senza attendere che arrivino gli aiuti dalle istituzioni centrali, ma iniziando a fare, a ricucire relazioni, ad avviare progetti, a valorizzare le risorse.
La seconda richiesta corrisponde al quarto comandamento: «onora il padre e la madre» (Esodo 20,12). È il richiamo al rispetto degli anziani, quelli che più soffrono in questo tempo di isolamento forzato. Sono i primi ad ammalarsi, i primi a morire. Sono i più soli, costretti in residenze dove il rischio dei focolai è elevato e nessun familiare può accedervi. C’è chi fa di tutto ciò un problema statistico: siamo un territorio con la popolazione sempre più vecchia (perché non facciamo figli o li mandiamo via…). E arriviamo a chiederci se non convenga isolare gli anziani per evitare lockdown generalizzati. La logica dell’abbandono si insinua anche tra i bravi cattolici, che spediscono in istituto chi è troppo avanti con gli anni, sebbene autosufficiente, perché l’idea di famiglia ormai non contempla la presenza al suo interno di una persona troppo attempata.
Dovremmo ricordarci della seconda parte del versetto dell’Esodo, in cui si motiva il precetto di onorare papà e mamme, nonni e nonne: «perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dà il Signore, tuo Dio». C’è una causa-effetto iscritta nelle tavole della legge. Siamo un nodo di relazioni ed esistiamo per i nostri legami. Il tempio esiste grazie a ciascuna delle sue pietre e se qualcuna viene rimossa tutta la costruzione crolla. Noi siamo parte di questo tempio, di questo tutto, dove ogni elemento, ogni individuo è indispensabile per la sopravvivenza reciproca. Il futuro non si può costruire senza il rispetto del passato. Il deficit di speranza rimarrà incolmabile se non traiamo linfa dalle nostre radici. Non permettiamo che la scure si abbatta sugli alberi della memoria. Viviamo di quello che trasformiamo. L’albero trasforma la terra in rami, l’ape trasforma il fiore in miele e la nostra fatica deve trasformare le zolle in messi biondeggianti. Questo è l’augurio migliore che possiamo farci per il 2021
«Signore, legami all’albero a cui appartengo. Non ho più significato se sono solo. Che ci si appoggi su di me. Che io mi appoggi all’altro… Io ho bisogno di essere» (A. de Saint-Exupéry).
(dal numero di Dicembre di Pandocheion-Casa che accoglie)
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